Se nella pratica dell’artista che cammina attraverso Francia, Spagna e Portogallo, da Amsterdam a Venezia, da Beirut a Tripoli, da Genova a Ventimiglia, il motus è una necessità intellettuale oltre che fisica, nel cammino da Venezia a L’Aquila si seminano nuove riflessioni sulla relazione tra uomo e natura: il 24 agosto 2016, Giorgio si trova nella sua città, Venezia, e anche a così grande distanza può sentire l’eco del terremoto che si abbatte su Amatrice e sulle zone limitrofe. La percezione fisica di quel terrae-motus lo mette in contatto emotivo con coloro che di quel ruggito hanno subito il dolore, perdendo la propria vita o quelle dei propri cari.
Tre anni più tardi, il 24 agosto 2019, Giorgio si metterà in cammino da Venezia verso L’Aquila: percorrendo il lungo tratto della faglia Gloria, spaccatura orogenetica all’origine dei maggiori terremoti della penisola. Un cammino in solitario di circa un mese che darà vita a un’opera immateriale dal titolo Gloria. All’altezza della Francigena Orientale del Lazio, l’artista imboccherà la rotta che da Leonessa conduce ad Amatrice, lasciando un segno, ad oggi non presente.
La profonda crisi naturale e umana generata dal terrae-motus si trasforma in motus interiore e fisico verso una comunità ferita, gesto estetico e politico di solidarietà, condivisione, amore, ma anche spinta a superare fratture emotive, faglie interpersonali, crisi improvvise.
Afferma Giorgio, “Un cammino, un sentiero, esiste nel momento in cui viene solcato; l’azione del percorrerlo è ciò che mantiene vivo il suo tracciato e, di conseguenza, il camminare assume un valore assoluto, non strumentale ad altre forme di produzione (di oggetti) o di intrattenimento (dei visitatori). Camminare è un gesto concreto e simbolico, un gesto spirituale, politico ed estetico. Un gesto che può diventare esso stesso opera d’arte”.
Il resoconto di questo viaggio a piedi compiuto nell’arco di quaranta giorni è stato raccolto in un diario dal titolo Gloria, pubblicato da Humboldt Books.